La storia dei manoscritti

Antonio Vivaldi, “Par che tardo, oltre il costume”. Cantata per soprano e basso continuo. Raccolta Foà 27, f.2-5. Per gentile concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino. Divieto di riproduzione.

 

A giudicare dagli scritti dei viaggiatori stranieri che hanno attraversato l’Italia, la città di Torino è passata relativamente inosservata per molti secoli. La fama del suo teatro d’opera, fondato nel 1740, si consoliderà nella seconda metà del diciottesimo secolo. Siamo dunque ben lontani dalla sfera musicale di Antonio Vivaldi. Soltanto un documento anonimo fa allusione ad un suo breve soggiorno in questa città, da giovane, accompagnato dal padre, apparentemente per lavorare con un membro di una rinomata famiglia di violinisti, i Somis. Ironia della sorte, la biblioteca musicale personale di Antonio Vivaldi, che rappresenta non meno del 92% degli spartiti autografi del compositore oggi conosciuti, è ora conservata nella Biblioteca Nazionale della città di Torino. Il fondo consta di 450 documenti. Come questa sostanziosa raccolta sia arrivata a Torino, è in sé una storia molto curiosa.

Sappiamo da fonti sicure che nel 1745 ventisette volumi della musica del prete rosso si trovavano a Venezia nella biblioteca di un senatore veneziano, il conte Jacopo Soranzo. È probabile che li abbia acquistati dal fratello del compositore, Francesco Vivaldi, un barbiere e parruccaio veneziano, che li avrebbe ereditati dopo la morte di Antonio, nel 1741.

I ventisette volumi passarono in seguito dalle mani del conte Soranzo a quelle del conte Giacomo Durazzo, che li tenne nel suo palazzo sul Canal Grande fino alla sua morte. Suo nipote Girolamo, ultimo doge di Genova, li trasferì a Genova dove rimasero per circa un secolo nella villa di famiglia. Nel 1893, i volumi furono divisi in parti uguali e lasciati in eredità ai fratelli, Marcello e Flavio Durazzo. Marcello legò la sua parte al Collegio Salesiano di San Carlo, vicino a Casale Monferrato.
Nel 1926, il direttore del Collegio, desiderando intraprendere dei lavori di rinnovamento dell’edificio, decise di vendere i volumi. Prese quindi contatto con la Biblioteca Nazionale di Torino per una perizia. Luigi Torri, il direttore della biblioteca, sollecitò immediatamente il parere di Alberto Gentili, docente di storia della musica all’Università di Torino. Si resero conto entrambi dell’immenso valore della raccolta ma né la biblioteca, né la la città avevano i fondi sufficienti per acquistarla. Gentili si rivolse pertanto a Roberto Foà, amico e agiato uomo d’affari, che comprò i volumi nel 1927, in memoria del figlio defunto, per poi donarli alla biblioteca. Si trattava tuttavia della metà dell’intero lascito vivaldiano. L’altra metà era rimasta a Genova e fu solo dopo lunghe negoziazioni che nel 1930 gli ultimi eredi della nobile famiglia accettarono di venderla. La raccolta fu dunque completata, questa volta grazie al denaro dell’imprenditore Filippo Giordano.

Ed è proprio così, per una concatenazione di eventi fortuiti, che la biblioteca dei manoscritti di Antonio Vivaldi ha trovato degna dimora in seno alla Biblioteca Nazionale di Torino, ove è meglio conosciuta come “fondo Foà – Giordano”. I ventisette volumi constano di almeno 450 lavori che vanno dagli spartiti di singole arie alle partiture integrali di opere liriche. Notevolissima è la quantità di musica strumentale: 296 concerti per uno o più strumenti, archi e basso continuo (comprendenti 110 concerti per violino e 39 concerti per fagotto), cantate, mottetti e quattordici opere liriche integrali.

Nel 1992, l’Istituto per i Beni Musicali in Piemonte, grazie al musicologo Alberto Basso, intraprende la catalogazione degli archivi musicali del Piemonte. Le attività dell’Istituto saranno ampliate successivamente quando, alla fine degli anni ’90, Albero Basso concepì lo straordinario progetto di registrare tutta la musica contenuta nei manoscritti, costituendo così una collezione discografica degli autografi vivaldiani. Si rivolse quindi alla casa discografica Opus 111 (oggi Naïve), che accolse l’idea con entusiasmo. Ed è così che iniziò la Vivaldi Edition, una coproduzione diretta da questi due gruppi e parzialmente finanziata dalla Regione Piemonte, la Fondazione CRT (Cassa di Risparmio di Torino) e la Compagnia di San Paolo. Inaugurato nel 2000, il progetto dovrebbe richiedere in tutto quindici anni.

Solo alla fine degli anni ’80, primi anni ’90, la ricerca sulle pratiche di esecuzione nel Barocco musicale e la ricostruzione di strumenti d’epoca raggiunse un livello tale che la musica di Vivaldi poté essere interpretata in modo del tutto convincente. Poi venne Alberto Basso con la sua idea di incidere l’integrale, ripartita in categorie (musica sacra, concerti per violino, concerti per fagotto, etc.). Sebbene tale scelta sia potuta sembrare inizialmente esagerata e piuttosto monotona, questa categorizzazione rigorosa ha permesso al pubblico di scoprire quanto cospicua sia la mole di musica composta dal prete rosso.

La Vivaldi Edition ha fatto avvicinare ai manoscritti di Vivaldi dei musicisti di grande talento capaci di cogliere fino in fondo lo spirito italiano. Fra i tanti illustri direttori d’orchestra coinvolti nel progetto basti ricordare Rinaldo Alessandrini e il Concerto Italiano, Jean-Christophe Spinosi e L’Ensemble Matheus, Giovanni Antonini e Il Giardino Armonico, Ottavio Dantone con la sua Accademia Bizantina o ancora Alessandro de Marchi con l’orchestra Piemontese Academia Montis Regalis. La lista di eminenti strumentisti include il violoncellista Christophe Coin, il fagottista Sergio Azzolini, l’oboista Alfredo Bernardini, il liutista Rolf Lislevand e molti altri. L’Edition ha anche dimostrato di essere una vetrina eccellente per cantanti di chiara fama come Magdalena Kozena, Sandrine Piau, Marie-Nicole Lemieux, Sara Mingardo, Lorenzo Regazzo, Philippe Jaroussky e Sonia Prina, per citarne solo alcuni.

Se questa massa imponente di musica ha potuto giacere intatta negli archivi per così tanto tempo, è dovuto in parte all’osservazione fatta da Luigi Dallapiccola, poi ripresa da Igor Stravinsky, secondo la quale Vivaldi avrebbe composto centinaia di volte lo stesso concerto. Ciò che scaturisce da questo progetto di registrazione è invece l’infinita varietà della sua musica. Il suo stile personale è certo facilmente riconoscibile ma che cos’altro è lo stile se non la cornice dentro la quale Vivaldi ha dato ampio sfogo alla sua illimitata creatività? E l’ora di scoprirlo.